La Chimica dei Pesci

Tutti sappiamo che i pesci sono esseri viventi che vivono nel loro habitat naturale dei mari e degli oceani.

Si muovono con agilità ed eleganza, agitando le loro pinne e respirando agevolmente con le loro branchie.

I pesci nascono nell’acqua e vivono nell’acqua, si cibano e proliferano sempre nell’acqua, che sia un oceano o un minuscolo acquario per loro cambia poco. L’acqua resta il loro elemento fondamentale, li avvolge e dà loro vita, gli consente di fare tutto e quando viene a mancare i pesci muoiono con atroci sofferenze.

Essendo l’acqua un elemento così importante per i pesci, verrebbe da pensare che questi esseri viventi conoscano bene la formula H2O, come anche la composizione delle sostanze che si trovano disciolte negli oceani.

Ma non è così, i pesci non conoscono nessuna formula chimica, non sanno cosa sia il cloruro di sodio presente nell’acqua dei mari e non sanno perché riescono ad estrarre ossigeno da una sostanza liquida con le loro branchie, anzi se vogliamo dirla tutta non sanno nemmeno cosa sia l’ossigeno.

Insomma i pesci vivono agevolmente immersi in qualcosa che non conoscono nella maniera più assoluta ed utilizzano passivamente un meccanismo che la natura ha messo loro a disposizione per respirare.

A differenza dei pesci, l’uomo ha la capacità di comprendere i meccanismi che lo circondano, la dimostrazione di questo è l’evoluzione scientifica e tecnologica nel corso degli anni, in particolare quella degli ultimi decenni.

Sarò pessimista, ma temo che ultimamente non stiamo sfruttando questo potere e la strada che stiamo prendendo è quella che ci porta a diventare più simili ai sopra citati pesciolini.

Siamo diventati più pigri e meno curiosi, non ci interessa conoscere le leggi della natura che regolano la nostra vita e non ci interessa conoscere nemmeno il funzionamento dei meccanismi tecnologici che scandiscono le nostre giornate, che ci consentono di gestire il nostro patrimonio, la nostra sicurezza e la nostra salute.

Preferiamo essere degli inconsapevoli utilizzatori, bravi utilizzatori sicuramente, ma totalmente ignoranti della sostanza delle cose.

Accendiamo un computer, un tablet, uno smartphone ed ignoriamo cosa ci sia dentro. Programmiamo il lavaggio della lavastoviglie fregandocene altamente di cosa accadrà al suo interno. Paghiamo automaticamente con una scheda di plastica che la banca ci ha dato, ignorando cosa essa contenga e di come essa fornisca ad altri le nostre preziose informazioni. La stessa automobile che ci porta in giro è per molti di noi una magia, quasi fossimo nel film di Harry Potter.

La tecnologia l’abbiamo creata noi non gli alieni, eppure non siamo mai stati così lontani da essa.

Definiamo i nostri figli “nativi digitali”, come a voler affidare loro l’oneroso compito di diventare i futuri inventori. Quante volte abbiamo sentito la frase “mio figlio è un genio al computer”? Non voglio deludere i tanti genitori che hanno detto questa frase, ma non basta saper utilizzare uno strumento per avere padronanza dello stesso, anzi sono due cose non sempre collegate tra di loro.

Essere nativi digitali significa solo muoversi agevolmente immersi nella tecnologia, ignorando totalmente cosa essa sia. Come i pesci che vengono attratti dalla corrente d’acqua che li porta comodamente da un continente all’altro, i nostri “nativi digitali” sono attratti dalle semplificazioni della tecnologia, che li porta a fare cose difficili in maniera semplice e soprattutto da totali ignoranti.

Oggi l’AI la sta facendo da padrona, sicuramente è una tecnologia che offre molte possibilità, ma l’AI oggi è fatta di brevetti e di algoritmi che girano su macchine che non troviamo al negozio di PC, al servizio di poche grandi compagnie che ci hanno investito e che offrono i loro servizi. A meno che non diventiamo sviluppatori di codice all’interno di queste aziende, rischiamo di diventare solo degli ignari utilizzatori.

Certo è molto comodo essere utilizzatori e come i pesci trascinati dalla corrente non ci si sforza molto. Questo fa si che tutte le scienze che stanno alla base di queste innovative tecnologie, stanno man mano scomparendo, o meglio stanno scomparendo quelli che dovrebbero studiarle.

Guardiamo ad esempio l’elettronica, ho citato prima il computer, la tv, il bancomat, la lavastoviglie e l’automobile, ma potrei citare un qualsiasi dispositivo da noi utilizzato. In tutti questi casi al loro interno c’è una scheda elettronica che utilizza componenti, sensori e dispositivi di vario tipo. Questi dispositivi a loro volta nascono con l’aiuto della chimica o della fisica, la stessa elettronica è una parte della fisica, cioè quella scienza che studia il comportamento della natura e che regola il funzionamento di tutto l’universo.

Gli studenti di elettronica però stanno scomparendo, nei percorsi di studio i ragazzi prediligono la moda del momento spesso legata a percorsi vicini all’informatica, scienza questa sicuramente importante, ma che opera ad un livello sicuramente diverso e più astratto rispetto alla concretezza delle scienze basilari come l’elettronica o la fisica.

La fisica è l’origine di tutto, la base da cui nascono tante tecnologie. L’elettronica, che è parte della fisica, è dentro ogni dispositivo che viene utilizzato da chi studia ed applica l’informatica. La meccanica è anch’essa parte della fisica, lo studio della meccanica è il fondamento di altri percorsi di studio, che non voglio menzionare o sminuire, ma come si dice, “diamo a Cesare ciò che gli appartiene”. Se oggi esiste l’informatica lo dobbiamo a chi ha reso possibile la realizzazione di un microprocessore, e se oggi esiste la robotica in ambito industriale o medico, lo dobbiamo a chi ha saputo progettare componenti o trovare soluzioni che riescono a riproporre il modello umano in una macchina.

Oggi negli Istituti secondari abbiamo una metà degli iscritti in percorsi legati all’informatica (senza che essi abbiano la reale percezione di cosa sia l’informatica) e la restante metà suddivisa in tutti gli altri percorsi, con pochissimi iscritti in elettronica, meccanica o chimica.

Negli atenei la situazione è forse peggiore, i percorsi più gettonati sono quelli che contengono le parole, realtà aumentata, intelligenza artificiale, robotica ed altri termini oggi molto di moda. Complice la volontà di catturare iscritti, troviamo dei percorsi universitari dove non è ben chiaro quali saranno le competenze reali che i futuri ingegneri o dottori avranno.

Ovviamente le aziende che operano nei vari settori tecnologici, affamate di tecnici ed ingegneri come sono oggi, occuperanno anche queste figure, e lo faranno incrociando le dita con la speranza di inserire in azienda giovani volenterosi di formarsi e di mettersi in gioco, a volte ricominciando anche da zero.

Ma tornando alla più comune figura del programmatore o informatico, bisogna osservare che se è pur vero che al giorno d’oggi questa figura viene richiesta in svariati contesti lavorativi, è anche vero che questa non può operare solo ad un livello di astrazione tale da non avere alcuna conoscenza di elettronica.

Ma l’elettronica come la fisica è una scienza complessa, che abbraccia tanti settori di interesse, che spazia dalle nanotecnologie all’elettronica di potenza. L’elettronica è tanta matematica, l’elettronica studia il comportamento dei minuscoli ed infinitesimi elettroni, studia come l’energia si trasmette nello spazio, come la luce si propaga.

L’elettronica significa creare, ideare, inventare, progettare, significa anche sbagliare e non ottenere il risultato voluto e questo è qualcosa che i ragazzi di oggi non accettano. Sono abituati all’immediatezza di un’app che, dopo essersi autoinstallata, ti dà la possibilità di fare qualcosa senza il rischio di fallire. Sono abituati a scrivere qualche riga di codice utilizzando librerie che altri hanno fatto e testato, ma non sono abituati a cercare il motivo per cui qualcosa non funziona.

Mi capita spesso di dire ai ragazzi a Scuola che la loro fortuna è quando progettano un circuito o fanno un programma e questo poi non funziona al primo colpo. E’ li che si effettua il vero studio, quello che si chiama troubleshooting, cioè la risoluzione del problema.

Entrare con il ragionamento nella logica di funzionamento del tuo dispositivo per ricercare il problema, ti fa diventare padrone del tuo progetto, del tuo circuito o del tuo programma.

Ciò costa fatica, serve ragionare, approfondire, inventarsi delle prove da fare per capire dov’è l’eventuale errore. Ma dobbiamo prendere atto che oggi la ricerca della soluzione non è più di moda, ci sono altri che risolvono i nostri problemi, perché affannarsi a farlo? E perché studiare la “sostanza” della tecnologia quando ci si può limitare ad utilizzarla?

E’ questo che stiamo insegnando ai nativi digitali, cioè che la tecnologia ci spetta di diritto senza alcun sacrificio e che di essa dobbiamo prediligere solo la parte esteriore: “Ecco a voi la novità del momento, questi sono i comandi, ora usatela a vostro piacimento, sarete dei bravi, anzi bravissimi pesciolini, ma mi raccomando attenti a non sbattere contro i vetri dell’acquario.”

(p.s. tutte le immagini sono state pigramente realizzate con l’aiuto dell’AI)

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